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Addiction e memoria


Nella vita di un individuo, è naturale che ci siano alcune memorie indesiderate: lutti, malattie, amori finiti male. La mente umana è la risultante di tutte le sue esperienze, incluse quelle negative. Tuttavia alcune memorie sono clinicamente definite “pericolose” in quanto in grado di innescare stati patologici, come per esempio nei disturbi post traumatici da stress (PTSD) dove il ricordo del trauma è associato ad un insieme di sintomi che perseguitano il paziente per anni. Lo stesso fenomeno si è osservato nelle tossicodipendenze, dove la riesposizione agli stimoli in precedenza associati alla droga aumenta il rischio di ricaduta: la situazione in cui tipicamente si assume la sostanza ne risveglia il ricordo rendendo più facile ricascarci, mentre dimenticare quest’associazione potrebbe rendere inferiori le occasioni di ricaduta. Oggi si è compreso che le memorie sono frutto di processi dinamici e in continuo cambiamento, regolati da connessioni cerebrali in costante riarrangiamento; possono infatti essere riattivate per rafforzare, aggiungere o togliere informazioni, tracce, dettagli. La riattivazione è uno stato transitorio durante il quale le memorie sono labili e quindi vulnerabili alla modifica o all’eliminazione. Il processo attraverso il quale le memorie vengono stabilizzate dopo la loro riattivazione e aggiornamento si chiama riconsolidamento. Questa scoperta ha rivoluzionato il concetto stesso di memoria, con inevitabili influenze non solo sulle neuroscienze, ma anche sulle scienze mediche, psicologiche e umanistiche. La possibilità di riattivare alcune memorie per introdurre nuove informazioni può non solo aiutare a prevenire le ricadute nei soggetti con dipendenze, ma anche curare i PTSD. Elementi di questo tipo sono già presenti nel trattamento del PTSD, in particolare nelle tecniche psicoterapiche basate sulla “esposizione” (exposure therapy, EMDR), mentre nel campo delle dipendenze si vanno facendo strada interventi innovativi basati sugli stessi principi, miranti alla riattivazione e alla modificazione della addiction memory. Anche nel poliabuso, la capacità reciproca di una sostanza di innescare l’assunzione dell’altra e/o viceversa ha la sua base in meccanismi di memoria neurochimica, come avanzato già vent’anni fa da Robinson & Berridge nella loro teoria del craving come forma di sensibilizzazione di circuiti neuronali che “immagazzinano e rievocano” lo stimolo psicoattivo. La memoria degli effetti di una sostanza rievoca quell’engram neurochimico simile indotto da un’altra sostanza. Tuttavia, il settore in cui gli approcci basati sulla memoria appaiono più promettenti è quello della comorbilità PTSD/dipendenze; in questi casi infatti è possibile utilizzare in un unico setting i processi di riattivazione/riconsolidamento della memoria, cioè intervenire su un meccanismo patogenetico comune ad entrambi i disturbi; anche qui ci troviamo di fronte a processi terapeutici già noti ai clinici, ma che solo recentemente hanno cominciato ad essere validati scientificamente. La scommessa è duplice: al di là della tradizionale traslazione di ipotesi ed evidenze dalla ricerca alla clinica, abbiamo ora anche la possibilità di operare un reverse engineering analitico a partire dalla complessità del setting clinico (e dei suoi esiti positivi) ai sottostanti processi e meccanismi. Si prospetta quindi la possibilità di superare la necessità epistemologica dell’inquadramento categoriale, “balzando all’indietro” verso un nucleo comune di eventi neurobiologici. Sarà così possibile capire meglio il perché dell’efficacia dell’intervento, inquadrarlo in un quadro paradigmatico innovativo basato sulle evidenze, e permetterne una migliore efficienza ed implementazione. Il presente numero di MDD raccoglie quanto trattato da diversi autori sul tema della memoria nei processi terapeutici nell’ambito del progetto “Neuroscienze in Comunità” sviluppato presso la CT Villa Soranzo (www.cocaina-alcol.org) con l’obiettivo di avvicinare due ambiti, quello delle comunità terapeutiche e quello della ricerca neuroscientifica, tradizionalmente lontani (e a volte reciprocamente diffidenti).