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Quale qualità nei Servizi per le Dipendenze in Italia?

Nell’ambito dei servizi italiani per le dipendenze il filone di studio relativo alla qualità è stato per un lungo periodo poco considerato in quanto i modelli più comunemente presenti e osservabili nel panorama della sanità, o in altri settori di servizi alla persona, mostravano spesso degli approcci non sufficientemente articolati e flessibili rispetto alla configurazione e alle caratteristiche tecnico-professionali e organizzative presenti nei servizi per le dipendenze. La mancanza o la scarsità di contenuti indirizzati a sostenere pratiche, apprendimento di conoscenze e comportamenti professionali che tendessero ad accrescere l’adeguatezza e l’equità dei trattamenti, a rinforzare l’identità professionale e il senso del proprio lavoro ha quindi contribuito a tenere per molti anni questi servizi lontani dai percorsi standardizzati di “miglioramento di qualità”.
Anche l’idea meno burocratica di pensare alla “qualità totale” come la spinta ad aggiungere gli ingredienti e i fattori di miglior livello possibile per la costruzione di servizi efficienti ed efficaci non ha soddisfatto la necessità di aiutare le organizzazioni di cura ad orientare e migliorare il senso e i contenuti del proprio lavoro.
Si è quindi cercato di costruire dei modelli che tenessero conto delle complessità e delle sfide umane e professionali costantemente presenti nel proprio lavoro con altri tipi di riferimenti e con altri strumenti.
Tuttavia, se da un lato questi aspetti problematici hanno per un certo tempo ostacolato lo sviluppo di un dibattito sulla qualità nei servizi per le dipendenze, la riflessione e la ridefinizione della qualità di un servizio può invece essere un’operazione di grande interesse e importanza, perché può essere connessa ad un processo di creazione di senso e di orientamento e può sostenerne l’efficacia e la produttività, rendendo il servizio e le sue offerte più riconoscibili anche all’esterno.
Per sviluppare una diversa concezione della qualità di un servizio può essere utile, come primo passo, considerare questa non tanto con una finalità di completamento formale dell’organizzazione ma piuttosto come uno strumento spendibile sul piano operativo, utile per parlare agli attori dell’organizzazione di cura e per sostenerne e indirizzarne i comportamenti. Affinché venga vissuta come un concreto processo di lavoro si ritiene necessario che vengano presidiati alcuni passaggi cruciali.
Si può pensare che un primo passaggio sia il saper valorizzare gli aspetti storici e fondativi della disciplina e del servizio locale senza, d’altra parte, restarne vincolati. La riflessione deve necessariamente avere due prospettive di analisi, una rivolta a rileggere in modo critico le esperienze e i significati del proprio agire professionale e organizzativo così come si è configurato nel tempo ed una attenta a cogliere i segni del cambiamento. Trascurare una delle due ottiche significherà produrre una riflessione insufficiente alla costruzione di senso e identità relativamente al mandato dei servizi e a come questo si è modificato nel corso del tempo.
La difficoltà a riconsiderare i percorsi organizzativi e il bagaglio delle conoscenze elaborate precedentemente e a discernere gli aspetti positivi, che contribuiscono a dare efficacia e valore al servizio, da quelli oramai superati dal dibattito culturale e scientifico sulla materia, può costituire un ostacolo allo sviluppo del “ciclo della qualità”. Inoltre, vi è il rischio di progettare servizi con scarsa identità, che non riconoscono e trattengono il proprio sapere, che non riescono o non hanno gli strumenti per mettersi in discussione e gestire il confronto con i propri errori e i propri punti di forza o non riescono ad acquisire nuove conoscenze.
Per contro, non essere attenti alle prospettive e all’innovazione significa non riuscire a cogliere i fattori di cambiamento che, anche se non già pienamente esplicitati, rappresentano tuttavia le sfide alle quali il servizio deve prepararsi a rispondere. Questi segnali possono venire dall’evoluzione del fenomeno come da modifiche dell’assetto del sistema dei servizi che va a ridefinire i ruoli all’interno della rete di intervento.
Definire la qualità è quindi un processo ricorsivo, da tenere allineato all’evoluzione del fenomeno e del dibattito scientifico che per produrre indicazioni utili deve saper “giocare d’anticipo”, in modo da ridurre l’eventuale difficoltà e disorientamento degli operatori che dovranno implementarne le indicazioni, ma piuttosto stimolarli al miglioramento e ad essere tesi ad aggiornare conoscenze ed azioni.
Il secondo aspetto da presidiare in un processo di definizione della qualità, all’opposto che una mera definizione di procedure, è l’apertura del dibattito, la possibilità o la capacità di alimentare una discussione a più voci, capace di far emergere le diverse posizioni, che valorizzi il punto di vista dei servizi, ma riesca a rielaborare questa prospettiva integrandola in un’ottica di sistema più ampia, staccandosi dal dettaglio eccessivo o da un’angolatura individuale per riuscire ad individuare le dimensioni di rilievo per l’intera rete.
Sarà così possibile far emergere diversi punti di osservazione e arrivare ad un risultato in grado di sistematizzare il sapere acquisito, di produrre una definizione in grado di parlare il linguaggio di chi opera e, in una certa misura, anche di chi usa i servizi.
In questa cornice la politica per la qualità nei servizi più difficilmente si ridurrà all’assunzione acritica di paradigmi formali o burocratici definiti in altri contesti, più difficilmente sarà intesa come ricerca dell’eccellenza e quindi come opportunità alla quale pochi possono ambire. L’obiettivo della riflessione sulla qualità invece può essere proprio il contrario: riuscire a canalizzare il lavoro di tutte le risorse verso la produzione di servizi a maggior tasso di qualità, ad attivare processi di apprendimento che facciano crescere la professionalità delle risorse. La qualità potrà così assolvere il suo ruolo di accompagnatrice dello sviluppo della rete dei servizi.
All’interno della Società Italiana degli operatori per le Tossicodipendenze - SITD è stato condotto per diversi mesi un approfondimento e uno scambio di punti di vista e di contributi su questi temi che ha portato alla realizzazione del congresso “La qualità negli interventi per l’addiction - Dal mito della qualità totale ai percorsi di integrazione tra clinica, formazione e organizzazione dei servizi”, svoltosi a Pisa nel maggio scorso.
Il presente numero di Medicina delle Dipendenze, a carattere tematico, è stato realizzato in collegamento con tale percorso e riporta alcune delle principali relazioni sviluppate ed esposte in questo evento per contribuire a diffondere e allargare questo interessante dibattito.