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ADHD e disturbi da uso di sostanze: la prospettiva del neurosviluppo

Lo studio dello sviluppo neurologico e dei disturbi ad esso correlati ha aperto per la psichiatria dell’adulto una nuova prospettiva non solo per la comprensione delle basi patogenetiche, ma anche per quanto riguarda gli aspetti diagnostici e terapeutici di molte sindromi psichiatriche. Se inizialmente questa prospettiva è stata applicata quasi esclusivamente all’età evolutiva, la crescente consapevolezza che molti di questi disturbi proseguono in età adulta ha favorito una migliore definizione delle loro traiettorie evolutive. I disturbi da uso di sostanze (substance use disorders – SUD) e più recentemente il concetto di disturbo duale (dual disorder – DD) sono ormai aspetti delle scienze psichiatriche in costante evoluzione dal punto di vista clinico-terapeutico e rappresentano la comorbidità più comune nei pazienti adulti con disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (attention deficit hyperactivity disorder – ADHD). Studi prospettici mostrano che il DD è una evoluzione comune nell’ADHD tra i 20 e i 30 anni e che le sostanze più comunemente usate sono alcol, nicotina, cannabis, stimolanti quali amfetamine e cocaina, e oppiacei. Una storia di ADHD in età evolutiva è correlata all’insorgenza precoce dell’uso di sostanze e ad una maggiore probabilità di poliuso. D’altra parte, l’ADHD negli individui con SUD comporta una maggiore probabilità di disturbi dell’umore, tentativi di suicidio, ricoveri psichiatrici, scarsa aderenza ai trattamenti e una minore probabilità di raggiungere la cessazione dell’uso di sostanze. Negli ultimi anni, la ricerca ha consentito di chiarire meglio molti dei fattori neuropsicologici e neurofisiologici che stanno alla base della relazione ADHD-SUD/DD, fornendo molte informazioni di grande utilità anche per il trattamento di questa popolazione clinica. La stretta relazione tra ADHD e SUD/DD sembra fondarsi su diversi meccanismi neuropsicologici. In primo luogo, alcuni fattori di rischio, come l’impulsività e la ricerca di forti sensazioni, sono caratteristiche temperamentali comuni nelle due condizioni. Inoltre, le alterazioni delle funzioni esecutive e la presenza di disturbi della regolazione emotiva degli adolescenti con ADHD sembrano favorire sia la probabilità di un incontro più o meno casuale con le sostanze, sia la vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti tossicomanici, con una forte tendenza allo sviluppo di molteplici dipendenze non solo da sostanze, ma anche comportamentali. Infatti, i soggetti con ADHD hanno molto spesso difficoltà nel controllare e modulare la risposta e i comportamenti rivolti all’ottenimento di una ricompensa, risultando più o meno compromessi nell’autocontrollo e nella capacità di rimandare un’azione ADESSO (scarsa capacità di pianificazione e mentalizzazione), per evitare una conseguenza negativa DOPO. In ultimo, bisogna ricordare che avere un ADHD in età evolutiva che continua in età adulta comporta una maggiore esposizione a fattori di rischio psicosociali tra cui fallimenti scolastici, difficoltà lavorative e relazionali, che favoriscono le condotte tossicomaniche come strategia di fuga da obblighi e responsabilità. Per quanto riguarda le basi neurochimiche, le alterazioni della trasmissione dopaminergica sono considerate centrali negli attuali modelli che correlano ADHD e SUD/DD. In entrambe le condizioni è ipotizzata una ipofunzione del sistema dopaminergico sia a livello dello striato che della corteccia frontale. I farmaci stimolanti che agiscono contro i sintomi dell’ADHD sono in grado di aumentare le concentrazioni di dopamina nella corteccia frontale e nello striato, attraverso un blocco dei trasportatori presinaptici. Diversi studi clinici prospettici indicano in maniera univoca che il trattamento dell’ADHD con farmaci stimolanti durante l’infanzia o l’adolescenza riduce il rischio di sviluppare SUD/DD in età adulta. Interessanti prospettive terapeutiche, da vagliare nel prossimo futuro, riguardano l’uso di farmaci stimolanti ad azione tonica per combattere il relief craving dei soggetti con ADHD, che tendono a usare stimolanti veloci non solo per le loro proprietà gratificanti, ma anche per il sollievo che possono portare ai sintomi di inattentività. Dal punto di vista clinico, la comorbidità SUD/ADHD spesso rappresenta un problema sia sul piano diagnostico che terapeutico. L’uso di sostanze, soprattutto quelle non stimolanti, spesso provoca difficoltà di attenzione, iperattività e/o impulsività, rendendo difficile distinguere i sintomi legati all’uso continuo di sostanze da quelli attribuibili ad un ADHD sottostante. Da questo punto di vista è molto importante avere la possibilità di ricostruire la storia del soggetto con l’aiuto dei familiari fin dai primi anni di vita, dove già possono emergere con chiarezza le prime manifestazioni di ADHD. Sul piano terapeutico, l’influenza del disturbo del neurosviluppo complica non poco le scelte e la gestione. In primo luogo, nei pazienti ADHD-SUD è molto frequente la presenza di disturbi dell’umore di tipo bipolare, anche di notevole gravità, che non raramente hanno caratteristiche di cronicità e resistenza ai trattamenti abituali. In generale, un SUD attivo e un grave disturbo dell’umore dovrebbero essere trattati prima dell’inizio di una terapia contro l’ADHD. Tuttavia, per i pazienti con ADHD ben documentato, che precede l’inizio dell’uso di sostanze, può essere ragionevole trattare entrambi i vari disturbi contemporaneamente. Da quanto riportato sopra, appare sempre più evidente che, se applicata alla psichiatria dell’adulto, la prospettiva del neurosviluppo, oltre ad offrire un terreno fertile per la ricerca delle basi neurofisiologiche di molti disturbi mentali, fornisce una chiave di lettura illuminante di molti quadri psicopatologici complessi. In primo luogo, costringe a una rilettura radicale di costrutti classici come quello di disturbo di personalità, la cui validità e utilità pratica si è rivelata molto scarsa. Molte dimensioni tipiche dei disturbi dello sviluppo neurologico e i quadri sindromici ad esse associati sono ampiamente sovrapponibili alle descrizioni dei disturbi di personalità, al punto da renderne inutile una diagnosi differenziale. Dopo i 18 anni, infatti, molti ADHD dell’infanzia si trasformano per la psichiatria dell’adulto in disturbi di personalità di cluster B o C del DSM-5. La prospettiva del neurosviluppo, inoltre, getta una luce nuova sulla lettura di molte sindromi psichiatriche ad esordio giovanile, con importanti riflessi di ordine prognostico e terapeutico, dalla bipolarità ad esordio precoce fino a molti disturbi della condotta alimentare, del controllo degli impulsi e, soprattutto, da uso di sostanze. Le teorie eziopatogenetiche dell’addiction dovrebbero considerare e includere i processi di sviluppo neurologico con i quali sono intimamente connessi, anche per la forte associazione con l’età di insorgenza adolescenziale. È in questa fase della vita ad esempio che l’ADHD, per il mutare delle richieste ambientali, inizia percorsi evolutivi, che lo allontanano dalle manifestazioni originali e lo portano verso numerose complicazioni delle quali il SUD/DD è, oggi, una delle più frequenti. Infine, l’ultima e non meno importante implicazione della prospettiva del neurosviluppo riguarda l’importanza fondamentale degli interventi precoci e il concetto di finestra terapeutica. Intercettare un ADHD in età evolutiva e trattarlo adeguatamente non solo riduce i disagi connessi ai sintomi del disturbo, ma riesce a prevenire un numero di possibili complicanze, che saranno molto più difficili da trattare e gestire in età adulta