ADHD e disturbi da uso di sostanze: la prospettiva del neurosviluppo
Giulio Perugi Icro Maremmani
Lo studio dello sviluppo neurologico e dei disturbi
ad esso correlati ha aperto per la psichiatria
dell’adulto una nuova prospettiva non solo per
la comprensione delle basi patogenetiche, ma
anche per quanto riguarda gli aspetti diagnostici
e terapeutici di molte sindromi psichiatriche.
Se inizialmente questa prospettiva è stata
applicata quasi esclusivamente all’età evolutiva,
la crescente consapevolezza che molti di questi
disturbi proseguono in età adulta ha favorito
una migliore definizione delle loro traiettorie
evolutive.
I disturbi da uso di sostanze (substance use
disorders – SUD) e più recentemente il concetto
di disturbo duale (dual disorder – DD) sono ormai
aspetti delle scienze psichiatriche in costante
evoluzione dal punto di vista clinico-terapeutico
e rappresentano la comorbidità più comune
nei pazienti adulti con disturbo da deficit
dell’attenzione/iperattività (attention deficit
hyperactivity disorder – ADHD). Studi prospettici
mostrano che il DD è una evoluzione comune
nell’ADHD tra i 20 e i 30 anni e che le sostanze
più comunemente usate sono alcol, nicotina,
cannabis, stimolanti quali amfetamine e cocaina,
e oppiacei.
Una storia di ADHD in età evolutiva è correlata
all’insorgenza precoce dell’uso di sostanze e
ad una maggiore probabilità di poliuso. D’altra
parte, l’ADHD negli individui con SUD comporta
una maggiore probabilità di disturbi dell’umore,
tentativi di suicidio, ricoveri psichiatrici, scarsa
aderenza ai trattamenti e una minore probabilità
di raggiungere la cessazione dell’uso di sostanze.
Negli ultimi anni, la ricerca ha consentito di
chiarire meglio molti dei fattori neuropsicologici
e neurofisiologici che stanno alla base della
relazione ADHD-SUD/DD, fornendo molte
informazioni di grande utilità anche per il
trattamento di questa popolazione clinica.
La stretta relazione tra ADHD e SUD/DD sembra
fondarsi su diversi meccanismi neuropsicologici.
In primo luogo, alcuni fattori di rischio, come
l’impulsività e la ricerca di forti sensazioni,
sono caratteristiche temperamentali comuni
nelle due condizioni. Inoltre, le alterazioni delle
funzioni esecutive e la presenza di disturbi
della regolazione emotiva degli adolescenti con
ADHD sembrano favorire sia la probabilità di un
incontro più o meno casuale con le sostanze, sia
la vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti
tossicomanici, con una forte tendenza allo
sviluppo di molteplici dipendenze non solo da
sostanze, ma anche comportamentali. Infatti,
i soggetti con ADHD hanno molto spesso
difficoltà nel controllare e modulare la risposta
e i comportamenti rivolti all’ottenimento
di una ricompensa, risultando più o meno
compromessi nell’autocontrollo e nella capacità
di rimandare un’azione ADESSO (scarsa capacità
di pianificazione e mentalizzazione), per evitare
una conseguenza negativa DOPO.
In ultimo, bisogna ricordare che avere un ADHD
in età evolutiva che continua in età adulta
comporta una maggiore esposizione a fattori di
rischio psicosociali tra cui fallimenti scolastici,
difficoltà lavorative e relazionali, che favoriscono
le condotte tossicomaniche come strategia di
fuga da obblighi e responsabilità.
Per quanto riguarda le basi neurochimiche, le
alterazioni della trasmissione dopaminergica
sono considerate centrali negli attuali modelli
che correlano ADHD e SUD/DD. In entrambe
le condizioni è ipotizzata una ipofunzione del
sistema dopaminergico sia a livello dello striato
che della corteccia frontale. I farmaci stimolanti
che agiscono contro i sintomi dell’ADHD sono
in grado di aumentare le concentrazioni di
dopamina nella corteccia frontale e nello
striato, attraverso un blocco dei trasportatori
presinaptici. Diversi studi clinici prospettici
indicano in maniera univoca che il trattamento
dell’ADHD con farmaci stimolanti durante
l’infanzia o l’adolescenza riduce il rischio di
sviluppare SUD/DD in età adulta. Interessanti
prospettive terapeutiche, da vagliare nel prossimo
futuro, riguardano l’uso di farmaci stimolanti ad
azione tonica per combattere il relief craving dei
soggetti con ADHD, che tendono a usare stimolanti
veloci non solo per le loro proprietà gratificanti, ma
anche per il sollievo che possono portare ai sintomi
di inattentività.
Dal punto di vista clinico, la comorbidità SUD/ADHD
spesso rappresenta un problema sia sul piano
diagnostico che terapeutico. L’uso di sostanze,
soprattutto quelle non stimolanti, spesso provoca
difficoltà di attenzione, iperattività e/o impulsività,
rendendo difficile distinguere i sintomi legati all’uso
continuo di sostanze da quelli attribuibili ad un
ADHD sottostante. Da questo punto di vista è molto
importante avere la possibilità di ricostruire la storia
del soggetto con l’aiuto dei familiari fin dai primi anni
di vita, dove già possono emergere con chiarezza le
prime manifestazioni di ADHD.
Sul piano terapeutico, l’influenza del disturbo del
neurosviluppo complica non poco le scelte e la
gestione. In primo luogo, nei pazienti ADHD-SUD è
molto frequente la presenza di disturbi dell’umore
di tipo bipolare, anche di notevole gravità, che
non raramente hanno caratteristiche di cronicità
e resistenza ai trattamenti abituali. In generale,
un SUD attivo e un grave disturbo dell’umore
dovrebbero essere trattati prima dell’inizio di
una terapia contro l’ADHD. Tuttavia, per i pazienti
con ADHD ben documentato, che precede l’inizio
dell’uso di sostanze, può essere ragionevole trattare
entrambi i vari disturbi contemporaneamente.
Da quanto riportato sopra, appare sempre
più evidente che, se applicata alla psichiatria
dell’adulto, la prospettiva del neurosviluppo, oltre
ad offrire un terreno fertile per la ricerca delle
basi neurofisiologiche di molti disturbi mentali,
fornisce una chiave di lettura illuminante di molti
quadri psicopatologici complessi. In primo luogo,
costringe a una rilettura radicale di costrutti classici
come quello di disturbo di personalità, la cui
validità e utilità pratica si è rivelata molto scarsa.
Molte dimensioni tipiche dei disturbi dello sviluppo
neurologico e i quadri sindromici ad esse associati
sono ampiamente sovrapponibili alle descrizioni
dei disturbi di personalità, al punto da renderne
inutile una diagnosi differenziale. Dopo i 18 anni,
infatti, molti ADHD dell’infanzia si trasformano per
la psichiatria dell’adulto in disturbi di personalità di
cluster B o C del DSM-5.
La prospettiva del neurosviluppo, inoltre, getta
una luce nuova sulla lettura di molte sindromi
psichiatriche ad esordio giovanile, con importanti
riflessi di ordine prognostico e terapeutico,
dalla bipolarità ad esordio precoce fino a molti
disturbi della condotta alimentare, del controllo
degli impulsi e, soprattutto, da uso di sostanze.
Le teorie eziopatogenetiche dell’addiction
dovrebbero considerare e includere i processi di
sviluppo neurologico con i quali sono intimamente
connessi, anche per la forte associazione con l’età
di insorgenza adolescenziale. È in questa fase della
vita ad esempio che l’ADHD, per il mutare delle
richieste ambientali, inizia percorsi evolutivi, che
lo allontanano dalle manifestazioni originali e lo
portano verso numerose complicazioni delle quali
il SUD/DD è, oggi, una delle più frequenti.
Infine, l’ultima e non meno importante implicazione
della prospettiva del neurosviluppo riguarda
l’importanza fondamentale degli interventi precoci
e il concetto di finestra terapeutica. Intercettare un
ADHD in età evolutiva e trattarlo adeguatamente
non solo riduce i disagi connessi ai sintomi del
disturbo, ma riesce a prevenire un numero di
possibili complicanze, che saranno molto più difficili
da trattare e gestire in età adulta