Eroina: l’ospite inatteso
Paolo Nencini
Un secolo fa e più precisamente il 18 febbraio
1923 fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del
Regno d’Italia la legge intitolata Provvedimenti
per la repressione dell’abusivo commercio di
sostanze velenose aventi azione stupefacente,
basata sul principio che tali sostanze dovessero
avere un uso esclusivamente terapeutico o di
ricerca scientifica. Era una legge che rispondeva
primariamente ad obblighi internazionali più che
a problemi interni derivanti da un loro esteso
uso non terapeutico. Mezzo secolo dopo,
quasi all’improvviso e malgrado gli ulteriori
aggravamenti penali apportati alla legge
originaria, l’uso endovenoso di eroina dilagò in
Italia segnando o addirittura stroncando la vita
di molti giovani.
Perché ciò è accaduto, quale conteso socioculturale
ha albergato il fenomeno, come ha
risposto la società? È sconcertante costatare che
ben rari sono stati gli studi che si sono proposti
di rispondere a queste domande, quasi che
una condizione di perpetua emergenza abbia
costretto ad occuparsi solo dell’immediato,
anche in termini di studio del fenomeno:
ciò che contava era analizzare i dati statistici
individuando le tendenze, valutare l’efficacia dei
trattamenti, e via di seguito, il tutto per fornire la
cassetta degli attrezzi alle politiche di contrasto
via via elaborate. È appena il caso di osservare
che al disinteresse italiano per l’origine del
fenomeno si è contrapposto un vigoroso fiorire
di studi storico-sociali soprattutto di matrice
anglosassone, che sfortunatamente non riescono
a trovare traduzioni nella nostra lingua se non,
in genere, che per le opere più banalmente
divulgative, quasi a testimoniare di un generale
disinteresse per quegli aspetti del consumo
non terapeutico delle sostanze psicotrope non
immediatamente spendibili sul piano operativo.
Un disinteresse che ha tuttavia un costo e non
solo sul piano strettamente culturale, in quanto
implica il rischio di ripetere errori già commessi.
Come ha osservato la storica inglese Virginia
Berridge, i decisori politici il più delle volte non
sono consapevoli della risonanza storica delle
loro iniziative, nel senso che non tengono conto
del fatto che esse sono sovente riproposizioni
di iniziative già poste in atto in passato e i cui
risultati meriterebbero una accurata disamina
partendo proprio dalla costatazione che la loro
riproposizione suggerisce la loro precedente
inefficacia (Berridge, 2010).
Per fortuna le cose stanno cambiando e negli
ultimi anni sono apparsi studi dedicati agli
aspetti storici e culturali della tossicodipendenza
in Italia da parte di un ristretto manipolo
di autori, avanguardia, si spera, di un più
sistematico lavoro di scavo scientifico i cui
risultati non potranno non contribuire a un più
ragionato approccio al problema. Si veda in
particolare Vanessa Roghi con il suo bellissimo
Piccola città, tra vissuto familiare e storia (Roghi,
2018), e il più recente Eroina (Roghi, 2022); e poi
Matteo Pasetti che, da valente storico dell’Italia
contemporanea, ha individuato in un suo
recente saggio il vasto ventaglio di snodi storici
del fenomeno meritevoli di approfondimento
(Pasetti, 2020); e Maria Elena Cantilena che ha
analizzato l’arrivo dell’eroina nella prospettiva
dei movimenti extraparlamentari degli anni
settanta (Cantilena, 2022); un mio studio, infine,
ha ricostruito i determinanti politici, nazionali
e internazionali, che hanno condizionato
lo sviluppo della legislazione italiana sugli
stupefacenti precedente all’arrivo dell’eroina in
strada (Nencini, 2017).
In questa cornice siamo particolarmente
grati a “Medicina delle Dipendenze” che,
prendendo spunto dalla sessione del recente
congresso nazionale della Società Italiana
Tossicodipendenze dedicata all’arrivo dell’eroina
in Italia, ha voluto riservare un numero
monografico ad aspetti storico-sociali del fenomeno
ritenuti meritevoli dell’attenzione del lettore.
Un primo aspetto qui trattato è costituito dalla
lunga incubazione del fenomeno stesso, essendo
l’eroina giunta in Italia a cavallo del Novecento
come sedativo della tosse, ritenuto particolarmente
utile nel paziente con tisi polmonare, ancor prima
che venisse impiegata come analgesico. Sebbene
il farmaco non abbia mai scalzato la morfina da
analgesico di prima scelta, il suo mantenimento
in farmacopea fu strenuamente difeso dai clinici
che ancora nel dopoguerra tenteranno un’ultima
difesa prima che l’eroina fosse definitivamente
esclusa dall’impiego terapeutico nel 1951. Dovranno
trascorrere un paio di decenni perché il farmaco,
cacciato dalle farmacie, facesse la sua comparsa
nelle strade e ciò malgrado una nuova legge avesse
fin dal 1954 incrudelito le sanzioni penali non solo
per gli spacciatori e i trafficanti, ma anche per i
semplici consumatori.
Del tutto inaspettato, l’arrivo del consumo
voluttuario di eroina creò sconcerto nell’opinione
pubblica e Matteo Pasetti descrive il progressivo
mutarsi dell’immagine del consumatore di droghe
da “malato” e “vittima” a “minaccia pubblica”,
prendendo come punti di riferimento il discorso
del Presidente Pertini per il capodanno del 1979,
dove era rappresentata la prima immagine
attribuendola alla crisi occupazionale che colpiva
le giovani generazioni, e quello del presidente
successivo Cossiga per il capodanno del 1989 dove
il consumo di stupefacenti diveniva un cancro che
minacciava la società. Una trasformazione operata
da una rappresentazione sensazionalistica da parte
dei media che inevitabilmente suscitava paura
nell’opinione pubblica e incoraggiava il mondo
politico a perseguire un approccio fortemente
proibizionista.
Questi consumatori erano giovani e giovanissimi e la
narrazione prevalente da parte dei media li collocava
tra i militanti della sinistra extraparlamentare, ma
nel suo articolo Maria Elena Cantilena ci rende una
realtà assai più complessa mostrandoci una netta
contrapposizione tra i gruppi controculturali che
avevano come punto di riferimento riviste quali
“Re Nudo” e “Stampa Alternativa”, e consideravano
la cannabis e gli allucinogeni come strumenti di
una liberazione rivoluzionaria che partiva dalla
soggettività, mentre i gruppi operaisti e marxistileninisti
erano radicalmente contrari all’uso di
qualsiasi sostanza in quanto indice di disimpegno
politico. I due movimenti concordavano invece nel
rifiuto dell’eroina la cui diffusione così improvvisa
veniva attribuita a un complotto della CIA mirante
a destabilizzare i movimenti giovanili nati dal ’68.
L’eroina troverà spazio nel Movimento del ’77 e in
particolare nella sua componente creativa e il suo
uso entrerà nelle opere di autori di assoluto valore
quali Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli.
Opere che tuttavia segneranno l’inizio di una nuova
stagione nella quale impegno politico-culturale ed
eroina seguiranno strade divergenti.
In che misura il disturbo da uso di sostanze ha
colpito il mondo femminile e in che misura le donne
hanno avuto accesso ai servizi di assistenza? Sono
domande a cui Anna Paola Lacatena risponde nel
suo articolo, notando come i pregiudizi di genere
che gravavano e continuano a gravare sulla donna
l’abbiano fin dall’inizio scoraggiata dall’accedere ai
servizi falsando anche le valutazioni statistiche sul
suo reale coinvolgimento nell’abuso di sostanze.
Donne o uomini che fossero, gli assuntori di
eroina per via endovenosa andarono presto e in
gran numero incontro ad una malattia del tutto
sconosciuta caratterizzata da una drammatica
caduta delle difese immunitarie, era l’AIDS. Vanessa
Roghi ricostruisce il clima di panico creato da una
malattia che sembrava colpire categorie umane già
fortemente stigmatizzate come i tossicodipendenti e
gli omosessuali e come questa selettiva vulnerabilità
ostacolasse, ancor più che in altri paesi, la pronta
adozione di provvedimenti razionali di contrasto.
Del resto il nostro paese si mostrò lento ad assumere
provvedimenti razionali anche nell’eroinomane non
affetto da AIDS e Ernesto de Bernardis, basandosi
sugli archivi del “Corriere della Sera” e de “l’Unità”,
oltre che sulla letteratura medica in lingua italiana,
analizza come si dipanò una dura polemica contro il
trattamento sostitutivo con metadone, identificato
come “droga di stato” oppure “droga della mutua”
sulla base di pregiudizi ideologici che impedivano
di recepire quanto già acquisito in quei paesi che
da tempo avevano dovuto affrontare il problema
della dipendenza da eroina. L’autore descrive con
impietosa lucidità i contraddittori interventi dei
decisori politici che quei pregiudizi trasformavano
in provvedimenti operativi finché l’epidemia di AIDS
costrinse anche i più riottosi ad accettare ciò che
doveva essere chiaro fin dall’inizio e cioè che la
terapia sostitutiva era uno strumento indispensabile
nella misura in cui limitava i danni sanitari e sociali
della diffusione dell’eroina. Fu dunque la forza
delle cose a imporre le sue ragioni consistenti nella
necessità di mantenere la funzionalità sociale dei
soggetti dipendenti, con il progressivo allargarsi
dell’intervento mirante alla riduzione del danno
consistente nell’offerta integrata di trattamento
farmacologico e psicosociale.
Claudio Cippitelli completa questa ricostruzione
notando come sia stato a lungo sottovalutato il ruolo
svolto dal sociale non solo nel generare i consumi
di droghe, ma anche nell’offrire risposte di cura e di
reintegrazione. Ne fornisce un eccellente esempio
descrivendo come questa offerta integrata si sia
sviluppata in un quartiere periferico di Roma, il
Tufello, attraverso un lavoro sociale e politico dal
basso, capace di indurre gli abitanti del quartiere
ad accogliere il Programma Integrato di Riduzione
del Danno quando, a partire dai primi anni Novanta,
verrà attuato a Roma e implementato da una realtà
di terzo settore, l’Associazione Parsec.
In conclusione, abbiamo cercato qui di ricostruire il
clima sociale e culturale nel quale cinquant’anni fa,
quasi all’improvviso e dopo una lunga marginalità
terapeutica, l’eroina ha fatto la sua comparsa come
sostanza d’uso voluttuario, e come, tra molte
controversie si è cercato di affrontare il problema.
Molto resta ovviamente da studiare, soprattutto
per individuare quali siano stati i fattori, certamente
numerosi e anche di ordine internazionale, che
hanno determinato un così improvviso attecchire
di un fenomeno che a lungo era stato estraneo alla
società italiana. Forse aveva semplicemente ceduto
la diga millenaria del vino come unico strumento
di ebrezza sotto la pressione della curiosità che nei
più giovani suscitavano quelle nuove esperienze
psicotrope che tanto spazio già trovavano nelle
sottoculture giovanili di altri paesi? Sta di fatto che
quella che era sembrata un’emergenza da arginare
e sopprimere, a distanza di mezzo secolo è divenuta,
anche per il nostro paese, parte integrante della
complessità della società contemporanea. Prendere
atto di ciò, attraverso la consapevolezza del percorso
storico che il consumo di sostanze psicotrope sta
seguendo, può aiutare a governare un fenomeno
che si è cercato vanamente di estirpare.