Addiction e COVID-19
Paolo Jarre
L’editoriale del precedente fascicolo era chiuso
dalla domanda: “Sono stato troppo ottimista?”.
Essa si riferiva alla capacità dei Servizi per le
dipendenze e dei consumatori di sostanze
psicoattive di “surfare” sulla prima ondata della
pandemia COVID senza farsi travolgere facendosi
troppo male, grazie alle esperienze accumulate
nel corso dei decenni nel difendere e difendersi
dalle minacce infettive.
Lo scenario generale nel momento in cui
scriviamo queste righe è radicalmente mutato;
la prevalenza dell’infezione diagnosticata da
Ferragosto in avanti è pressoché quadruplicata,
superando in questi giorni di fine novembre il
milione e mezzo di persone e sfiorando le 800.000
contemporaneamente infette.
In realtà non sappiamo quanto questa forte
accelerazione della pandemia abbia colpito – e
in che misura – anche il nostro mondo.
Sicuramente le notizie di nuove infezioni tra
gli utenti e gli operatori dei SerD diventano più
frequenti ma non siamo in grado di stabilire
quanto questo rappresenti semplicemente un
“per 6” dei dati empirici della prima ondata (qui
rappresentati dalla ricerca condotta da SITD) o
quanto invece siano un progressivo collimarsi dei
nostri dati con quelli della popolazione generale.
C’è da dire che nel piccolo della realtà della ASL
TO3 del Piemonte (pur sempre 600.000 abitanti)
nel mese di ottobre ai 3 soggetti già segnalati nel
precedente fascicolo si aggiungeva la positività
di un solo caso (disturbo da uso di alcol) tra
gli utenti; nel mese di novembre però i casi
aggiuntivi diagnosticati con esame molecolare
diventavano 10, portando il totale a 14, con un
decesso; comunque, una prevalenza cumulativa
(7 per 1000) ancora di gran lunga inferiore a
quella misurata alla stessa data nella popolazione
generale piemontese (37 per 1000); tra gli
operatori, ai 2 della prima fase se ne aggiungevano
altri 6 portando il totale a 8, il 9% del totale:
sarebbe a questo punto oltremodo utile poter
disporre di accurate indagini di sieroprevalenza
nella nostra popolazione da confrontare con
quelle generali.
Questo numero viene aperto da un’importante
revisione sistematica delle evidenze disponibili
tra COVID e dipendenze condotta dai ricercatori
dell’Institute of Psychiatry and Neurosciences
di Parigi che ben rappresenta in modo analitico
tutte le possibili rotte di incrocio tra pandemia e
addiction.
Per certi versi il taglio scelto per questo fascicolo
potrebbe apparire ad alcuni eccessivamente
“antiproibizionista”; in questa chiave potrebbero
leggersi i due contributi di Brandon del Pozo e
quello di Magdalena Harris. Ma essi vanno calati
nelle rispettive realtà di USA e UK, dove l’impatto
della pandemia, più che da noi dove – ad esempio
– la Legge già consentiva di affidare metadone e
buprenorfina fino a 30 giorni, ha messo in luce la
farraginosità e l’arretratezza dei sistemi normativi
relativi alla dispensazione dei farmaci oppio
agonisti (USA) e dei dispositivi per la riduzione
del danno dei consumatori per via inalatoria (UK).
Torniamo ancora, con il lavoro sulla prevenzione
dell’uso problematico del web e con quello sui
consumi di alcol durante il lockdown, sugli effetti
sui consumi addittivi determinati dalle restrizioni
alla mobilità.
Ancora, viene illustrato il razionale e il disegno
di ricerca su un sorprendente potenziale effetto
protettivo dall’infezione COVID del disulfiram (a
breve avremo la pubblicazione della ricerca) e
l’impatto del COVID sui pazienti HIV e sui servizi
loro dedicati nell’Ospedale delle Malattie Infettive
di Torino “Amedeo di Savoia”.
Buona lettura!