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La legalizzazione della marijuana, una lezione americana


Università di Cagliari

Articolo di 7 pagine in formato pdf

Perché una lezione americana? Perché tutto ciò che succede negli Stati Uniti nel settore della droga, e non solo, viene ineluttabilmente trasferito alla periferia dell’Impero. Nel 1937 il Marijuana Tax Act ha messo fuori legge negli Stati Uniti e in tutto il mondo una droga presente sulla terra da trentotto milioni di anni, usata dall’uomo da millenni per curare, per gioire, per pregare. Il capo del Federal Bureau of Narcotics (FBN), Harry Anslinger, per vincere la sua partita cannabifobica non si è servito di argomenti tratti dalla preistoria, dalla storia o dalla scienza ma dalla più lurida cronaca nera. Erano gli articoli diffusi dalla vasta catena di giornali sensazionalistici del suo amico William Randolph Hearst, intrisi di razzismo. Hearst odiava i messicani anche perché Pancho Villa l’aveva spodestato di un bosco di ottocentomila acri da cui Hearst otteneva il legno per la carta dei suoi giornali, in sostituzione della canapa usata fino ad allora. Anche la DuPont aveva interesse a sostituire la canapa con la sua nuova scoperta, il nylon. Hearst aveva messo in atto una vera macchina del fango sui terribili effetti della marijuana sul comportamento dei negri, dei messicani e dei suonatori di jazz. Alcuni esempi dai giornali dell’epoca: sotto l’effetto della marijuana un negro riesce a guardare negli occhi un uomo bianco, due volte una donna bianca; la marijuana induce al pacifismo e al comunismo; due negri sotto l’effetto della marijuana hanno violentato una ragazzina di quattordici anni, anch’essa drogata, risultato: sifilide e gravidanza; tre quarti degli omicidi sono commessi da individui ispanici sotto l’effetto della marijuana. Nel 1961 Anslinger fa un compiaciuto esame del suo operato dove rivendica tra l’altro di aver ripulito centinaia di acri di marijuana e di aver sradicato tutte le piante che crescevano spontaneamente sul bordo delle strade.