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Piacere e dipendenza

Chi opera nel campo delle dipendenze è abituato a maneggiare le conseguenze negative della condizione tossicomanica. Si confronta con la sofferenza e con il dolore. Ma si confronta anche con il piacere, quello provocato dalle sostanze. L’allargamento della visuale ai bisogni e agli orizzonti edonici, aiuta a comprendere come, per dirla con le parole del Mantegazza, “una madre di famiglia virtuosa e saggia, dopo aver imparato a conoscere i piaceri della coca, abbandonasse tutti gli affetti, le consuetudini di una vita agiata, per seppellirsi in una povera casa di campagna e dedicarsi solo alle delizie misteriose della foglia boliviana…”. Non è questa l’unica forma di piacere alla quale è interessato chi ha un problema di dipendenza, e chi professionalmente si occupa di lui. C’è anche quello associato al recupero di una condizione di benessere, di dignità personale, di responsabilità, di accettazione sociale. La dimensione piacere- dolore (fisico e psichico) costituisce uno degli assi lungo i quali si muove l’addiction, patologia del piacere e della volontà. Dove finisce il piacere? Dove finisce la libertà della scelta e dove comincia la costrizione della malattia? Tra uso, abuso e dipendenza non sembrano esistere confini netti: nella prossima edizione del DSM è prevista la scomparsa della categoria di abuso, e l’adozione di un approccio dimensionale alla diagnosi di addiction, basata sulla gravità. Il tema del piacere è stato recentemente affrontato in un seminario della Scuola di Filosofia e Storia della Biologia e della Medicina, svoltosi il 22 e 23 settembre a Nettuno, con il contributo del Centro Interuniversitario di Ricerche Epistemologiche e Storiche sulle Scienze del Vivente, della Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza, dell’Istituto Italiano di Antropologia e della Società Italiana Tossicodipendenze. Il concetto di piacere è di interesse multidisciplinare e, per quanto ci riguarda, transnosografico. In questo numero della rivista abbiamo raccolto alcuni degli argomenti trattati, che giudichiamo di particolare interesse per i professionisti che si occupano di persone con problemi di addiction; condizione, quest’ultima, fortemente caricata di giudizi sociali negativi, costruiti sul binomio piacerecolpa, che richiedono un ulteriore sforzo di contestualizzazione del nostro operare.