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Che i cento fiori diventino un giardino


Dipartimento Patologia delle Dipendenze ASL TO3 Piemonte

In questo secondo fascicolo sui temi della riduzione del danno vogliamo dapprima affrontare alcuni aspetti che esulano in parte dalle abituali discussioni sulle pratiche di RDD e che permettono di dare un quadro a tutto tondo di cosa intendiamo per approccio olistico, unitario e coerente al rapporto tra consumi psicoattivi e salute. L’attuale concettualizzazione sul piano culturale e dei costumi (e su quello normativo, sociale e giudiziario che ne é sia il riflesso che, in parte, il punto di partenza) dei differenti consumi potenzialmente additivi è del tutto dissociata e priva di elementi di ragionevolezza. Abbiamo i consumi di sostanze psicoattive legali, sottoposti a limiti, alcuni dei quali valicabili con estrema facilità (divieto di vendita sotto i 18 anni/somministrazione di alcol ai minori di 16 anni, divieto di fumo nei locali pubblici e nei pubblici esercizi, divieto di pubblicità e avvertenze sui rischi sulle confezioni per i tabacchi), ma di fatto del tutto liberi, seppure soggetti (il fumo e il bere eccessivo) alla riprovazione sociale e seppure siano, sia per la natura della sostanza in sé sia per la vasta platea dei consumatori, quelli di gran lunga più rilevanti in termini di impatto sulla salute, e per la morbilità e per la mortalità. Accanto ad alcol e tabacco si è andato posizionando negli ultimi vent’anni il consumo di azzardo lecito (sembra un ossimoro, l’azzardo è un reato penale … l’ipocrisia del legislatore è un pugno nell’occhio) che, dopo decenni di massiccio bombardamento pubblicitario, comincia ad essere inscritto in una rete di limiti (anche in questo caso il divieto per i minori, i regolamenti comunali limitativi il funzionamento delle slot machines, le avvertenze sui rischi…). Possiamo dire che il regime normativo entro il quale stanno inscritti alcol, tabacco e gioco è in linea di massima, consapevole e, voluta o meno che sia dal legislatore, di riduzione del danno: nessuna proibizione, definizione di limiti netti per alcune fasce più vulnerabili della popolazione (i minori), controllo e regolamentazione dell’offerta. Per quanto riguarda il tabacco possiamo arguire che questo inquadramento abbia contribuito, negli ultimi cinquant’anni – assieme ad un’inversione dell’immagine sociale del fumatore (probabilmente fattore ben più rilevante), dal cowboy della Marlboro all’impiegato intirizzito sul balconcino dell’ufficio in pieno inverno a bruciare furtivamente in poche note una sigaretta – a dimezzare la platea dei consumatori. Riguardo all’alcol sicuramente l’intervento del legislatore è stato più blando (le lobbies dei produttori pesano ben di più) e non ha portato neppure alla disposizione per legge dell’obbligo di apporre le avvertenze sulla pericolosità dei consumi sulle etichette dei prodotti (avvertenze che in Francia, dove le lobbies dei vignerons non sono meno potenti di quelle nostrane, ci sono...). La riduzione in atto nei consumi di alcol nel nostro paese è da attribuire in misura nettamente più rilevante al mutato pattern di consumo con il via via sempre maggior prevalere, ampiamente studiato e descritto, del binge drinking rispetto al bere regolare; cosa questa che pone l’evidenza sulla necessità di allestire interventi di riduzione del danno non tanto rispetto ai rischi cronici ma a quelli acuti (intossicazioni acute con episodi anche mortali, incidentalità stradale). Le politiche pubbliche sul gioco in Italia apparentemente sono, come detto sopra, da inserire nella cornice della riduzione del danno; almeno questo sembrava lo spirito vent’anni orsono quando l’allora Ministro delle Finanze del Governo Dini, Augusto Fantozzi (ora Presidente di SISAL, toh...), sdoganò i primi videopoker; all’inizio degli anni Duemila, con la gestione governativa da parte di AAMS e operativa da parte delle concessionarie, sembrava aprirsi un sano scenario di offerta pubblica di un prodotto, comunque appetito e ricercato, sino ad allora in gran parte in mano alla criminalità organizzata. Nel giro di pochi anni però si è passati dalla riduzione all’amplificazione del danno, con lo Stato che da regolatore è diventato spacciatore, con l’offerta progressiva ed incessante di prodotti sempre più raffinati e diretti a scovare nuove nicchie di consumo piuttosto che a contrastare l’offerta illegale. Il caso della regolamentazione dell’offerta di sesso è un caso singolare in Italia. Sino all’entrata in vigore della Legge Merlin si può dire che, a prescindere da qualsiasi considerazione di carattere morale, vi fosse un regime di riduzione del danno, confinamento del fenomeno e controllo pubblico. L’abolizione delle cosiddette case chiuse, senza ulteriori provvedimenti che permettessero di incanalare l’attività e il consumo di sesso a pagamento in modalità meno rischiose possibili per “commercianti” e consumatori di fatto ha aperto, oramai oltre cinquant’anni fa, un irrisolto problema di amplificazione del danno. Benedetto Croce, in sede di dibattito sulla Legge Merlin, sostenne che qualsiasi male ci fosse nelle case di tolleranza era comunque minore che nel caso fossero state abolite: “Eliminando le case chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano, ma si distruggerebbe il bene con il quale è contenuto, accerchiato e attenuato quel male”. Ecco, pensiamo un attimo a questa frase di Croce applicata, ad esempio, ad una DCR, Drug Consumption Room, per il consumo protetto e sicuro sul piano sanitario di una droga illegale; calzantissimo certo, ma assolutamente impensabile. Nella nostra politichetta italiana ci furono membri del governo che, uscendo da un Consiglio dei Ministri che aveva testé approvato un disegno di legge di inasprimento delle sanzioni per i consumatori di droghe, si accesero voluttuosamente una sigaretta e scomparvero in ampie volute di fumo; ci sono parlamentari che nell’arco della stessa giornata sono in grado di propugnare l’aumento del carcere per i tossicodipendenti, la costituzione di zone “a luce rossa” nella loro città, l’omicidio stradale per i bevitori al volante che investano qualcuno uccidendolo e il Casinò regionale nella città rivierasca vicina. Senza sentirsi schizofrenici. Non c’è nessuna consapevolezza nella nostra classe politica della necessità di affrontare i temi dei consumi additivi esagerati in modo armonico e unitario, senza strepiti e strumentalizzazioni propagandistiche, ma con una pragmatica diffusa linea di riduzione del danno: libertà nei consumi, rigorosa protezione dei vulnerabili, confinamento delle scene di consumo in aree circoscritte, organizzate e vigilate, tutela sanitaria dei consumatori problematici, divieto di proselitismo e di pubblicità, sistema sanzionatorio efficace e rapido per i trasgressori, imposizione fiscale rigorosa con aliquote alte per i commercianti (che commerciano tutto sommato la merce più facile da vendere e che fidelizza più facilmente il cliente, il piacere...). In questa cornice si collocano gli interventi sulla riduzione del danno nel campo dell’alcol, del gioco d’azzardo, del tabacco e del sesso. I contributi sull’emergenza epatite C vogliono rimettere al centro dell’attenzione un tema estremamente sottovalutato anche nei servizi stessi; i più anziani ricorderanno l’enorme vetrina mediatica offerta al diffondersi e al propagarsi dell’infezione HIV a metà degli anni Ottanta e quanto essa abbia contribuito, con tutte le distorsioni giornalistiche, al varo della Legge 135/1990 e alla costruzione di un sistema di presa in carico e di cura efficace per l’AIDS. Nulla di simile è stato fatto per l’epatite C: sottotematizzata per l’incerto collegamento con il contagio di natura sessuale (che tanto ha contribuito, invece, alla ribalta per l’HIV), per il differimento nel tempo delle conseguenze gravi (cirrosi, carcinoma epatico) per la salute, per l’isolamento delle persone colpite, non più accompagnate e sostenute da una dimensione collettiva, epocale, identitaria della propria tragedia. La presentazione delle esperienze concrete della provincia di Torino (non vi sono tutte le esperienze di riduzione del danno di quest’area geografica ma quelle che, a giudizio di chi scrive, meglio contribuiscono a descrivere un panorama articolato e differenziato; ad esempio, non è descritta l’esperienza di outreach nei luoghi di rave dell’unità di strada SAR-Neutravel che però ha avuto una dimensione regionale) aiuta a capire quale ricca articolazione può avere l’offerta nel campo della riduzione del danno, sia sul versante sanitario “tradizionale” (trattamenti con oppioagonisti a bassa soglia di accesso, fornitura di dispositivi per il consumo endovenoso, presidi per la prevenzione dell’overdose...) sia su quello, molto meno noto, sociale. E qui entrano in campo le nuove esperienze di riconversione delle strutture residenziali non più utilizzabili come comunità “terapeutiche” per cinquanta/ sessantenni al settimo-ottavo inserimento, ma come razionali strumenti di sollievo e tregua. Snelli, efficaci, rispettosi ed economici. Ed anche il posizionamento degli interventi “preventivi” non solo sul difficilmente difendibile confine del “consumo zero” ma su quello ben più realistico per alcol, cannabis, tabacco del consumo attento. In ultimo il contributo di Stefano Vecchio, che non delinea precise strutture organizzative per dar corpo concreto a quanto argomentato in questi ricchi due fascicoli, ma tratteggia scenari mobili e “biodegradabili” in linea con i tempi e le modalità della “società liquida”. Nel 1956 il presidente cinese Mao Zedong lanciò la cosiddetta campagna dei cento fiori – “Che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino” – ad inaugurare una stagione di liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale (ahimè seguita da una immancabile successiva epoca repressiva); nel nostro piccolo, nei tanti cortili della riduzione del danno in Italia forse anche più di cento fiori sono nati in questi trent’anni. Di tutte le specie, in particolare di quelle del cosiddetto terzo paesaggio, il giardino involontario. Possiamo dire che ora, dopo tanti anni, sia giunto il tempo che i giardinieri esperti si mettano all’opera per radunare i tanti fiori in un unico grande giardino. Roccioso, ovviamente.