Le dipendenze nell’anziano (nella terza età): the dark side of addiction
Manuel Glauco Carbone, Icro Maremmani
Con il termine “anziano” generalmente si identificano
individui con un’età superiore ai 65
anni, che rappresentano una popolazione unica
e potenzialmente più vulnerabile. Nel corso
dell’ultimo secolo, il progressivo aumento della
longevità e quindi della popolazione anziana
ha comportato un sostanziale cambiamento
nell’assetto delle società occidentali divenendo
un fattore sempre più importante per le politiche
sanitarie (WHO, 2020). Questo trend si
deve soprattutto al miglioramento nella salute
pubblica, nelle condizioni igieniche, nella nutrizione
e nei livelli di vita, nonché agli avanzamenti
della medicina e delle politiche sanitarie.
Il concetto di “terza età” fu introdotto per la
prima volta negli anni Sessanta dallo studioso
americano Robert Havighurst (1961) con la
convinzione che la vita umana potesse essere
divisa in tre fasi distinte:
1. “Età primaria”: l’infanzia (0-14 anni)
2. “Età secondaria”: l’età adulta (15-64 anni)
3. “Terza età”: l’invecchiamento (65+ anni).
La “terza età” è caratterizzata da un periodo di
salute, energia e indipendenza relativamente
più stabili. È una fase nella quale le persone
possono perseguire i loro interessi, mantenere
contatti sociali e continuare a fornire un valido
contributo sociale. Gli anziani possono, quindi,
presentare un declino della produttività fisica
ma non necessariamente un completo decadimento;
hanno più tempo per la riflessione
personale, le attività di svago e le relazioni; possono
sperimentare ulteriormente le opportunità
per un continuo apprendimento, l’impegno
volontario o la creatività e una sensazione di
sicurezza e stabilità derivante dalle esperienze
di vita accumulate (Barnes, 2011).
Se da un lato quindi “anziano” spesso implica
un focus su declino fisico, dipendenza e isolamento
sociale, la “terza età” può enfatizzare il
potenziale di ulteriore crescita personale e il
rimanere coinvolti, produttivi e contribuenti
nella società.
Tuttavia, è necessario puntualizzare come gli
anziani, anche quelli più “funzionali” e “attivi”,
possano essere primariamente coinvolti nella
diffusione capillare delle dipendenze, sia da sostanze
(alcol, cocaina, cannabinoidi, nicotina,
caffeina, benzodiazepine, analgesici oppiacei,
etc.) che da “comportamenti” (gioco d’azzardo
patologico, shopping compulsivo, sex addiction,
internet addiction, food addiction, etc.).
La dipendenza è definita come un disturbo cronico
e ricorrente del sistema nervoso centrale
caratterizzato da una ricerca discontrollata di
sostanze e dal loro utilizzo, nonostante le conseguenze
negative. È considerato un disturbo
cerebrale, perché provoca modifiche funzionali
ai circuiti cerebrali coinvolti nei processi della
gratificazione, della gestione dello stress e della
autoregolazione emotiva. A differenza del termine
generico “dipendenza”, l’addiction ha una
connotazione maggiormente specifica e scientifica
in quanto include, oltre a una maggiore
gravità, anche aspetti fisiologici e patofisiologici
alla base delle alterazioni comportamentali (Uhl
et al., 2019). L’addiction è un disturbo complesso
e multisfaccettato che colpisce individui di
tutte le età ma, negli ultimi anni, è stata osservata
una tendenza all’aumento dell’utilizzo di
sostanze tra gli anziani e questo, naturalmente,
si lega a un aumento del rischio di sviluppare
disturbi da uso di sostanze (DUS) (Yarnell et al.,
2020).
Le addiction negli anziani sono spesso sottovalutate
e stigmatizzate, portando a una carenza
di consapevolezza e comprensione relativamente
a questa specifica condizione psicopatologica.
Si cercherà, quindi, di fornire un’analisi esauriente
della situazione attuale e di discutere le
ragioni dell’aumento del rischio di sviluppo di
DUS in questa fascia d’età. Contestualmente, si
cercherà di esplorare le complessità delle addiction
negli anziani, mettendo in evidenza non
solo le difficoltà di diagnosi e trattamento, ma
anche le conseguenze dannose sull’integrità del
sistema nervoso centrale in termini di neuroprogressione
e neurodegenerazione. Numerosi sono
ormai gli studi scientifici che mostrano una forte
correlazione tra addiction, specificatamente i DUS,
e il rischio di malattie neurodegenerative, come ad
esempio varie tipologie di demenza, malattie neuroinfiammatorie
e disturbi del movimento (Büttner,
2021; Carbone & Maremmani, 2024).
Il National Institute on Drug Abuse (NIDA), nel
2019, ha riportato che nell’ultimo decennio l’uso
di sostanze è marcatamente aumentato sia nella
fascia di adulti tra i 50 e i 64 anni, che in quelli di
65 anni o più definendo tale fenomeno come “epidemia
invisibile” (SAMHSA, 2019). Sebbene l’uso
di sostanze illegali tenda a declinare dopo la giovinezza,
circa 1 milione di adulti di 65 anni o più negli
Stati Uniti presenta un DUS, come riportato dai dati
del 2018. La percentuale di ammissioni degli adulti
più anziani in centri specifici per il trattamento tra
il 2000 e il 2012 è aumentata dal 3,4% al 7,0%.
L’European Drug Report del 2023 realizzato
dall’European
Monitoring Centre for Drugs and
Drug Addiction (EMCDDA), l’Osservatorio Europeo
delle Droghe e delle Tossicodipendenze (OEDT), ha
evidenziato come negli ultimi quindici anni il consumo
di sostanze tra gli over 65 sia quasi raddoppiato
(EMCDDA, 2023). Il maggiore consumo riguarda
non solo le più comuni sostanze gratificanti (alcol,
eroina, cocaina, THC, nicotina, caffeina), ma anche
sostanze prescritte per uso medicamentoso.
Gli over 65 acquistano e usano circa un terzo di
tutti i farmaci prescritti, raggiungendo percentuali
più alte se si considerano le benzodiazepine e
gli analgesici oppioidi. Le donne sembrerebbero
incorrere maggiormente nell’uso irregolare di farmaci
e nell’uso non-medico di sostanze psicoattive
(EMCDDA, 2023). La loro fragilità e quindi la loro
maggiore predisposizione all’uso deriva da una
combinazione di fattori neurobiologici, psicologici
e sociologici (Arcadepani & Fidalgo, 2023).
Considerando i fattori neurobiologici, si può dire
che l’invecchiamento sia associato a cambiamenti
nella fisiologia del corpo e del sistema nervoso
centrale. Da una parte, la coesistenza di malattie
croniche, con il conseguente maggiore rischio di
sviluppare disturbi psichici come disturbi dell’umore,
del sonno e dello spettro ansioso, e la riduzione
delle capacità metaboliche portano il soggetto ad
avvicinarsi all’uso di sostanze e a innescare rapidamente
processi di tolleranza e dipendenza;
dall’altra, particolare rilievo occupano le progressive
alterazioni neuroevolutive morfo-strutturali
cerebrali, associate all’invecchiamento, che sono
correlate all’aumentato rischio di uso di una sostanza
e di sviluppare precoci processi di addiction.
Con l’avanzare dell’età, le alterazioni fisiologiche e
parafisiologiche cerebrali che possono potenzialmente
essere maggiormente coinvolte nel rischio di
addiction riguardano il lobo frontale, in particolare
la corteccia prefrontale (PFC), i gangli della base e
il sistema limbico.
La PFC è responsabile delle funzioni esecutive, del
decision-making, della pianificazione, dell’autocontrollo
emotivo e della gestione dell’impulsività. Il
volume ridotto e le anomalie nello spessore della
sostanza bianca in questa regione possono portare
a comportamenti impulsivi e disinibiti, con
una mancanza di controllo sulle proprie emozioni e
impulsi portando il soggetto a sperimentare nuove
sensazioni, reiterare comportamenti inappropriati
ed esercitare meno il controllo cognitivo sul sistema
della gratificazione (Goldstein & Volkow, 2011).
I gangli basali sono un gruppo di strutture coinvolte
nel controllo del movimento, nella formazione delle
abitudini e nell’elaborazione della ricompensa.
Disfunzioni a carico di questo sistema possono portare
a un aumento dei comportamenti ripetitivi e
compulsivi, come l’uso di sostanze (Canales et al.,
2007). Il sistema limbico è un insieme di strutture
cerebrali (
amigdala, ippocampo, lobo limbico, etc.)
che svolgono un ruolo fondamentale nel regolare
le emozioni, i comportamenti, la memoria associativa
e comprende i circuiti coinvolti nel sistema
di gratificazione. Contestualmente, alterazioni a
carico delle regioni di questo sistema correlate
all’età possono condurre a una maggiore reattività
emotiva (ipervigilanza per segnali correlati all’uso
di sostanze o alla tossicomania), disregolazione
emotiva, alterazione del sistema motivazionale,
della salienza e della valenza, potenzialmente innescando
o aggravando comportamenti tossicomanici
(Koob & Volkow, 2010).
Riguardo ai fattori psicologici e sociologici, la mancanza
di un supporto sociale efficace e una rete
amicale valida e presente può contribuire all’aumento
della predisposizione all’uso di sostanze.
La perdita di amici cari o familiari può rappresentare
un grave evento stressante tale da predisporre
disturbi psichici quali disturbo dello spettro ansioso,
panico-agorafobico, del sonno e dell’umore
che si correlano, a loro volta, a un incrementato
rischio di uso di sostanze o comportamenti gratificanti.
Allo stesso modo, i cambiamenti nello stile
di vita (pensionamento, riduzione del reddito), la
propensione a sviluppare malattie croniche con
riduzione dell’indipendenza, delle autonomie personali
e dell’autostima, il ridotto accesso ai servizi
sanitari e di prevenzione, la perdita di centralità
all’interno del nucleo sociale o familiare rendono
la popolazione anziana più vulnerabile allo sviluppo
di dipendenze da sostanze e comportamentali
(Halloran, 2024).
Cercare di descrivere, quindi, la dipendenza
nell’anziano come il “lato oscuro” (“dark side”)
dell’addiction
è un chiaro riferimento a come questa
complessa e difficile condizione sia molto spesso
negletta, stigmatizzata e non adeguatamente
trattata. Formando adeguatamente il personale
sanitario che lavora nei servizi per le dipendenze a
riconoscere precocemente questi fattori di rischio,
a implementare strategie di prevenzione, supporto
e trattamento dei disturbi da uso di sostanze o da
comportamenti additivi è possibile aiutare efficacemente
gli anziani tossicomani, promuovendo e
garantendo loro un invecchiamento più “sano”.
Icro Maremmani